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Sociolinguistic Aspects in Teaching Italian to Foreigners |
Vanina Narcisa Botezatu1, Gabriela Florentina Nicolae2
Abstract: This Article briefly refers to the use of sociolinguistic aspects in the acquisition and teaching of Italian language to foreigners. Emphasise the need for full teaching so that the student assimilates, in addition to language forms, all the socio-cultural aspects needed to achieve full training. It is therefore important not only to be able to understand the language, but to be able to juggle effectively and with efficience in the social and not just individual use of the language.
Keywords: linguistic varieties; diatopic; diastratic; diaphasic
Introduzione
La lingua è il prodotto di una società e richiede una pluralità di regole, tutte riconosciute e valide. Una questione che viene spesso sollevata dagli insegnanti è quale varietà va insegnata agli studenti o, piuttosto, quali varianti.
Nel costruire un modello linguistico per l’insegnamento dobbiamo riflettere sulle diverse varietà della comunità parlante, perché ogni volta che parliamo, utilizziamo almeno una varietà e ciò significa che, questa componente è presente nel nostro corso di italiano. Le varietà si trovano, infatti, nel modo stesso di parlare dell’insegnante, nel materiale utilizzato, nella scelta dei tratti normativi che si insegnano, nel modo di rispondere alle domande degli alunni (Moreno Fernández, 2010, p. 47).
Varietà linguistiche e modelli di insegnamento
Insegnare una lingua straniera, oltre alla competenza grammaticale o culturale, bisogna tener conto anche degli elementi della lingua in contesto, perché la lingua non ha una struttura fissa e rigida e può presentare diverse varietà nelle sue manifestazioni concrete - specialmente nel discorso - a seguito di cause che sorgono nel processo di comunicazione. Quando parliamo, in modo più o meno consapevole, utilizziamo più di un livello di varietà. Ad esempio, se vi sono giovani studenti, in compagnia degli amici viene utilizzata la varietà diatopica (dialetto siciliano, abruzzese, napoletano), la varietà diastratica (il linguaggio giovanile) e la varietà diafasica (quella informale). Diversi modi di parlare si creano in un’area geografica specifica, in una società specifica, in contesti diversi che si trovano nella vita quotidiana.
2.1. Il repertorio linguistico degli italiani è molto ampio, quindi l’introduzione delle varietà linguistiche nell’aula dell’italiano, dà la possibilità di analizzare la lingua nel suo contesto di uso. Quando si pensa alla dimensione diatopica, si deve fare riferimento ai vari dialetti italiani, con particolare riferimento ai tratti lessicali di ciascuno. Quando una classe di italiano è prevalentemente formata da studenti stranieri, non pensiamo sia utile soffermarsi sulle particolarità, ma i testi debbano rispecchiare anche gli aspetti geografici-culturali dell’Italia d’oggi, perché l’italiano incontrato - non appena lo studente straniero viene assorbito dalla realtà italiana, non è un italiano standard, ma un italiano pieno di inflessioni, modi di dire e costrutti caratteristici dalla propria regione.
2.2. La variazione linguistica collegata con il mutamento delle situazioni comunicative è la variazione diafasica. La dimensione diafasica della lingua si ritrova nella conversazione quotidiana, usata in situazioni informali e riveste una particolare importanza, che si manifesta nel parlato ed è utilizzata per argomenti comuni, di prima necessità: parole come mollare, scocciare, fregare, cosa, roba sono specifici e frequenti nell’italiano colloquiale e coprono una gamma di registri informali. Questo tipo di registro, considerato “basso”, perché non sorvegliato, con scarso interesse per il contenuto dell’enunciazione, che si trova nell’orale, si può osservare, sia a livello fonologico, sia a livello lessicale, ad esempio parole come porca troia, che roba, crepare, mollare, frocio, stronzo, merda, palle ecc., si trovano sempre nel discorso orale. Questo impiego costante di parole o meglio dire, parolacce, entrato nell’uso comune della lingua, provenienti dai dialetti, dalle lingue regionali, risulta molto diffuso nella società italiana e si trova, dunque, nella musica (Marco Masini, Pino Daniele), nella televisione (Rai o Mediaset), nei giornali (Corriere della Sera, La Stampa) ed anche nella letteratura (Dante Alighieri, Pietro Aretino, Carlo Emilio Gadda). Che siano televisione, cinema, musica e soprattutto letteratura si assiste ad un progressivo uso delle parolacce3.
In televisione - in Italia - le parolacce continuano ad essere oggetto di censura. Nell’intervallo della fascia protetta4 i conduttori televisivi vengono invitati esplicitamente a non dire parolacce in diretta, come dice nel suo intervento online Giorgia Paolucci. Fin dagli anni Sessanta o Settanta, la televisione è caratterizzata da numerose imprecazioni, insulti o maledizioni, nel senso che venivano utilizzati termini corretti ma di “equivoca” interpretazione come amante, fallo, casino, membro ecc. A partire dagli anni Ottanta, con la diffusione della radio, si assiste al progressivo rilassamento dai tabù linguistici collegati con l’uso di parole volgari, come dice Raffaele de Rosa5. Oggi, invece, le espressioni volgari sono ampiamente diffuse a tutti i livelli. Ricordiamo, qui, alcuni dei famosi litigi tra Sgarbi&Bongiorno, Sgarbi&Mughini, i momenti imbarazzanti delle interviste calcistiche, in cui vi è una grossa percentuale di uso di gesta, doppi sensi ed espressioni volgari, diventati ormai un “luogo comune”.
Per quanto riguarda il cinema, sin dagli anni Settanta si inizia a farsi sentire una certa frequenza delle espressioni volgari nei film. Prevalgono nei film polizieschi e nelle commedie all’italiana, non solo nelle recite, ma anche nei titoli delle locandine; menzioniamo alcuni: Elena sì… ma di Troia (1973), Il Casinista (1980), Culo e camicia (1981), Vieni avanti cretino (1982), Porca Vacca (1982), Balli spaziali (1987), Cari fottutissmi amici (1994), e più recenti, Sono un soldato di merda (2004), Sbirri (2009), Vaffanculo (2012), Stronzi (2014)6.
Nella letteratura, invece, si osserva un continuo aumento di libri che ci colpiscono con i loro titoli. Se prima erano nascosti in alcuni settori della libreria, oggi sono considerati un fatto normale, ma anche un motivo di imbarazzo, a volte. Titoli come Ti amo bastardo (Luciana Littizzetto, 2002), Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita (Giulio Cesare Giacobbe, 2003), Il fascino discreto degli stronzi (2009) dello stesso autore, non sono più nascosti dietro uno scafale, ma fanno il loro ingresso “a testa alta” sui banchi e le fiere del libro. Ma i libri che hanno fatto uso di parolacce nei titoli, non sono affatto recenti. I primi titoli scandalosi risalgono al 1500, menzioniamo alcuni7 La cazzaria (Antonio Vignali, 1531), La puttana errante (Lorenzo Venier, 1532), La merdeide (Tommaso Stigliani, 1629) e le parolacce più usate nei titoli italiani sono bastardo, puttana, stronzo.
Come osserviamo dagli esempi menzionati, l’acquisizione dell’italiano, anche attraverso l’uso delle parolacce, è strettamente relazionata con la praticità della lingua, con il concetto di usabilità. L’insegnamento di una lingua è riconducibile inevitabilmente alla cultura e ciò rimanda a tutti i contesti sociolinguistici, i quali, permettono di analizzare la lingua in contesti reali e potenziare una competenza pragmatica, favorendo un quel contesto per i discenti ad apprendere come si vive in una società differente, con le sue norme ed i suoi valori.
La varietà diafasica con il suo registro considerato ‘non sorvegliato’, rimanda alla motivazione dello studente ad affrontare aspetti culturalmente complessi, purché percepiti come utili ai propri fini comunicativi. Il turpiloquio rappresenterà per il discente una specificità della lingua, il quale si renderà conto che sta imparando una lingua spendibile in contesti comunicativi pratici, non lontana dai parlanti nativi e fa sì che più un aspetto linguistico risulta utile e usabile, tanto più potrà essere ricordato ed impiegato in situazioni analoghe.
2.3. Per ultimo, la dimensione diastratica, con particolare riferimento al comportamento sociale e ai modelli culturali acquisiti, si può ricollegare alla dimensione diatopica per le influenze dialettali e alla dimensione diafasica, per il contesto in cui la lingua viene usata, ma non può, né prevalere, né può essere integrata, perché l’italiano insegnato dalle grammatiche tradizionali, non dovrebbe fare riconoscere la provenienza sociale del parlante.
Bloomfield sostiene che “la lingua è quella che i parlanti usano, non quella che qualcuno pensa che dovrebbero usare” (Bloomfield, 1942) e ciò ci fa pensare a tutti i fenomeni linguistici, alle norme, intese come regolarità individuate in base agli usi reali, poiché la lingua è in movimento e bisogna tener conto dei diversi mezzi linguistici, della distribuzione geografica o della componente socioculturale, ma, soprattutto, della variabilità del tempo, perché la lingua, infatti, si evolve.
2.4. L’approccio sociolinguistico come parte integrante della didattica di una lingua straniera va preso in considerazione. I testi da adoperare dovrebbero essere anche quelli che rappresentano meglio il lessico e la fraseologia della varietà diafasica perché è importante che gli studenti conoscano o sappiano riconoscere espressioni appartenenti all’italiano colloquiale; apprendere una nuova lingua significa immedesimarsi in una nuova cultura, significa acquisire e avere la consapevolezza della pressenza di molteplici culture e di accetarle tutte, con il loro passaporto culturale. Ad esempio, quando viene sentita l’espressione bere un caffè sospeso8, le prime perplessità degli studenti stranieri è capire cos’è un sospeso9, poi ci si domanda (forse) a cosa serve e perché bere “un sospeso”, quindi quali sono le circostanze e che importanza viene attribuita a simile occasione: quando, dove e perché si beve un sospeso oppure chi beve un sospeso). Come si osserva, l’esempio fa riferimento al binomio lingua-cultura e quanto la relazione tra lingua e cultura riesce a esprimere le sue sfumature. Allo stesso tempo, gli studenti debbano riconoscere anche i sottocodici, caratterizzati da un lessico specialistico, che siano quelli usati solo da una determinata categoria (lingua della medicina, dell’informatica) o i linguaggi settoriali - legati a particolari sfere di attività, senza averne un lessico specifico, ma accessibili ad una diversità di utenti (pubblicità, politica, cucina, arte, medicina, sport ecc.).
I testi specialistici sono destinati, prevalentemente, a studenti stranieri che lavorano o vogliono lavorare in un determinato settore di attività, quindi l’uso e l’impiegabilità della lingua costituiscono una buona motivazione nella scelta e permette di concepire percorsi personalizzati sugli obiettivi della classe. Rientrano in questa categoria, le traduzioni da e verso l’italiano con particolare focus sulla traduzione specialistica (la dimensione diamesica). In quanto studenti di C1 o C2, l’uso della traduzione può servire per scoprire e definire elementi comparabili con la lingua di origine.
Quindi, una proposta didattica riguardante queste varietà deve tener conto dell’uso della loro variazione all’interno di un contesto linguistico, perché ogni lingua è caratterizzata da cambi linguistici dovuti alle varietà linguistiche ed il rapporto tra di esse (formale-informale, dialetti, sottocodici ecc.). Numerose occasioni di cambio linguistico si trovano nell’arco di una giornata, a causa degli argomenti trattati e del contesto in cui ci si trova, a livello lessicale, morfosintattico ed anche fonetico. L’importante è che gli studenti sviluppino le loro competenze linguistiche in lingua italiana, in modo che possano adoperare non solo le regole grammaticali della lingua, ma anche adattarsi alla cultura e all’interazione della società che usa la lingua.
Ci si domanda sempre sulle attività da proporre, la grammatica da insegnare, gli aspetti culturali con le sfumature specifiche, come sfruttare l’intervento didattico, per renderlo flessibile, aperto e soprattutto utile all’insegnamento della lingua. Come per ogni lingua straniera, anche per l’insegnamento dell’italiano e delle sue varietà linguistiche, bisogna tenere conto di alcune caratteristiche, quali: i destinatari, il loro livello di competenza e l’obbiettivo che si vuole raggiungere. Ai fini di una buona preparazione di un’unità di apprendimento, è necessario identificare i destinatari: se discenti di italiano come lingua seconda o discenti come lingua straniera. Se per i discenti della prima categoria, l’italiano si incontra anche all’esterno del contesto, quindi possono venire in contatto con la lingua, per la seconda, l’italiano si parla solo negli istituti di cultura in cui si insegna, quindi bisogna provvedere video, esempi vivi, per far capire l’applicabilità, la funzionalità della lingua stessa. In quanto al livello di competenza, che siano studenti di L210 o LS11, per includere l’uso delle varietà linguistiche ai corsi di italiano va considerato che gli studenti debbano possedere già un livello di competenza, con un obiettivo di uso della lingua di C1-C212. Come i destinatari sono diversi, anche i livelli di insegnamento vanno adatti, a seconda dell’obiettivo di ciascuno. Tutto sta nell’adattarsi agli studenti che si ha di fronte, alle loro esperienze linguistiche pregresse, all’età, agli scopi, nonché al loro bagaglio culturale.
Se si dovesse riflettere su un’unità di apprendimento in cui includere aspetti sociolinguistici, si dovrebbe prendere in considerazione il rapporto italiano-dialetto, perché l’italiano convive con diverse realtà linguistiche regionali, locali, creando una serie di varietà che si spostano dalla forma standard a quella del dialetto vero e proprio. Conoscere i dialetti e le varietà regionali può essere necessario se non fondamentale per una positiva immersione nella comunità di arrivo, definendosi quindi come un obiettivo della didattica, sin dal primo incontro con la lingua italiana, secondo quanto proposto dal concetto di usabilità e il modello delle classi a modelli variabili (Santipolo, 2009).
Un modello generale di insegnamento delle lingue, non credo che esista, ma qualcosa che possa essere adeguato ad ogni situazione di insegnamento, nel nostro caso, una via tra l’italiano standard e le varietà linguistiche. L’italiano standard può essere definito come la varietà di riferimento che rappresenta il risultato di un lungo processo storico che ha portato i parlanti a riconoscergli questo valore (Garatea Grau, 2006, p.148), mentre le varietà - i cui confini sono difficilmente delimitabili - rappresentano il continuum linguistico che si accostano o allontanano in base alle loro caratteristiche (Santipolo, 2002, p. 42). Secondo quanto menzionato da Santipolo (2009, pp. 35-36) nel suo articolo “Il dialetto e le varietà nel curricolo di italiano”, l’unità di apprendimento va progettata, tenendo conto della corrispondenza tra le esigenze del discente e l’obiettivo della didattica dell’italiano e della grammatica tradizionale. Il modello di insegnamento potrà essere definito come varietà didattica, che adegua l’italiano standard o neostandard, alla lingua viva, al reale repertorio linguistico degli italiani.
Le richieste o le necessità dello studente vanno inserite in una classe a modelli linguistici variabili, inserendo il turpiloquio progressivamente, visto come capacità di alternare le varietà all’interno di un evento linguistico, con il fine di fornire gli strumenti espressivi della lingua fin dai livelli, considerati i più bassi. L’usabilità sarà quindi il “grado di corrispondenza tra le esigenze del discente e le risposte che trova nei modelli offerti dal corso che sta frequentando” (Santipolo, 2009).
Riferimenti bibliografici
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Tartamella, V. (2006). Parolacce. Perché le diciamo, che cosa significano, quali effetti hanno/ Words. Because we tell them, what they mean, what effects they have. Milano: Rizzoli.
Sitografia
https://www.parolacce.org/parolacce-e-vito-tartamella/ [accesso il 9 novembre 2021]
https://www.visitnaples.eu/napoletanita/sapori-di-napoli/la-tradizione-del-caffe-sospeso-a-napoli-fatti-e-curiosita [accesso il 9 novembre 2021]
Litigio Vittorio Sgarbi e Mike Bongiorno, https://www.youtube.com/watch?v=j55CyvtaZ0U
Litigio Vittorio Sgarbi e Giampiero Mughini, https://www.youtube.com/watch?v=fM9cGjTmifU
1 Senior Lecturer PhD, Danubius University of Galati, Faculty of Communications Galati, Romania, Address: 3 Galati Blvd., 800654 Galati, Romania, Tel.: +40.372.361.102, Fax: +40.372.361.290, Corresponding author: vanina.botezatu@univ-danubius.ro.
2 Senior Assistant PhD, Dunarea de Jos University of Galati, Faculty of Fine Arts Galati, Romania, Address: 111 Domnească street, 800201, Romania, Tel.: +40.745.90 48 20, E-mail: florentina.botezatu@ugal.ro.
AUDC, Vol. 15, No. 2/2021, pp. 42-49
3Una profonda analisi sulla diffusione dell’uso delle parolacce nei media è stata fatta da Vito Tartamella (vedi Sitografia).
4L’espressione viene utilizzata per indicare l’intervallo che inizia dalle prime ore del mattino fino alle prime ore della sera, facendo riferimento agli spettatori di età infantile.
5Vedi lo studio fatto da Raffaele de Rosa, dell’Università della Terza Età di Svizzera.
6Vito Tartamella, voce Parolacce e cinema.
7 Vito Tartamella, voce Parolacce e letteratura.
9 La tradizione del “caffè sospeso” a Napoli: fatti e curiosità (vedi Sitografia).
10 Seconda lingua di studio.
11 Lingua straniera.
12 Livello di competenza linguistica, secondo Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue.